domenica 17 maggio 2009

Il buono, il brutto, il cattivo

Associandomi in pieno al post di Astoria, vorrei in più qui approfondire tre aspetti che a mio avviso caratterizzano la complessiva situazione rossonera, soprattutto alla luce della sconfitta di ieri sera a Udine.

Il buono.
Il Milan ha una squadra fantastica, un allenatore che tutti ci invidiano (e vorrebbero), una società vincente come nessuna e una storia unica al mondo, fatta di valori esemplari, uomini veri e capitani coraggiosi. Tutti motivi per i quali, quando vedo accostare il colore rosso a quello nero mi si riempe il cuore di emozione ed il petto si gonfia di orgoglio. Ed è una sensazione tale che, come detto in passato e d'accordo con Astoria, per tutte le gioie ricevute negli ultimi due decenni pur se non vincessimo nulla per i prossimi vent'anni ci sarebbe solo da ringraziare questi ragazzi e togliersi il cappello al loro cospetto.
Tanto basta ai miei occhi per far apparire il Milan non solo come la "società più titolata al mondo", ma come la "società migliore al mondo". E da questo non ci si muove.

Il brutto.
Negli ultimi due anni, però, nelle stagioni che sono seguite alla vittoria di Atene, il Milan ha mostrato problemi che, a tutt'oggi, sembrerebbero di difficile soluzione, con la conseguenza di campionati grigiastri che possono sì starci, come è fisiologico e comprensibile, ma che lasciano parecchie perplessità in chi, come me, non si rassegna all'idea di vedere la nostra squadra adagiata sugli allori. Il perdere ci può e, anzi, ci deve stare, in una (non) cultura sportiva come la nostra, in cui ormai tutti contestano tutti. Ma come dice Astoria nel suo post, è inconcepibile "il modo" in cui una squadra come il Milan alzi bandiera bianca proprio quando il bello sembra arrivare. E' successo l'anno scorso a Napoli in piena volata Champions, così come ricordavo qui non più di una settimana fa, ed è successo domenica scorsa contro la Juventus e, ancora, ieri sera a Udine, regalando così non solo un tricolore "facile" all'orrida compagine neroazzurra, ma complicandoci la vita nella conquista di un secondo o terzo posto, con la Fiorentina che oggi portà avvicinarsi pericolosamente e noi che nelle ultime due partite dovremo affrontare la Roma a San Siro e proprio i viola in casa loro. Roba che se non dovessimo battere i giallorossi domenica prossima, ci ritroveremmo in una sorta di bolgia infernale in quel di Firenze nell'ultima partita di campionato!
Le cause di tutto questo? Molteplici. Sgombrando però subito il campo dall'alibi degli infortuni che pure hanno avuto un peso notevolissimo negli ultimi due campionati e specialmente in questo, mi soffermerei di più su di un'analisi tecnico/tattica, sia in sede di mercato, sia nella gestione degli uomini e sia, infine, nella loro disposizione in campo.
Partiamo dalla finale di Atene. Come si è vinta quella magnifica Champions? Con il famoso "Albero di Natale". Bene: se si voleva proseguire con quella formula, non era il caso, allora, di provvedere a rimpolpare la voce "trequartisti" per dare fiato a Seedorf e a Ricky? L'anno scorso, invece, si è tenuto in quel ruolo il solo Gourcuff, poco più che un ragazzo evidentemente ancora acerbo per prendersi sulle spalle un peso simile. Al contrario si è preso Pato, fuoriclasse sì dalla classe cristallina, ma chiaramente di difficile collocazione nel famoso "albero", lui che non è né trequartista, né prima punta, ma una splendida seconda punta (come lo Sheva dei tempi migliori, per intenderci). Infortunio e sciagure personali di Ronaldo a parte, quindi, e a posteriori una non proprio ottimale gestione di Gilardino (tant'è che a Firenze quest'anno, come era prevedibile, è letteralmente ri-esploso), ecco come nella scorsa stagione ci siamo ritrovati ben presto con l'acqua alla gola, costretti già a febbraio ad abbandonare ogni velleità di conquista del tricolore e con il finale di campionato già descritto, cotto e mangiato al San Paolo di Napoli. Ma a dicembre si era vinto in Mondiale per Club e, bene o male, potevamo comunque ritenerci più che soddisfatti: un anno senza la Champions, pur per una società che più di ogni altra l'ha vinta negli ultimi vent'anni, ci può stare e non è una tragedia.
Seguono nell'estate successiva fantastici colpi di mercato, con il sogno Ronaldinho inseguito per anni divenuto realtà ed un ritorno da libro Cuore di Shevchenko. Solo al Milan accadono queste cose.
In più, torna pure quel bel "guaglione" di Borriello che nell'anno di purgatorio a Genoa ha fatto sfracelli, candidandosi prepotentemente come titolare fisso in quel ruolo di ariete d'area tanto agognato da Carletto nostro. Con un attacco stellare come questo, volano letteralmente nella mente formazioni spregiudicate, spettacolari, magari anche rischiose ed azzardate nel sottile gioco di equilibri di una squadra, ma dal potenziale offensivo devastante. Roba da far tremare i polsi alle squadre avversarie ancor prima di scendere in campo.
4-2-3-1? 4-2-2-2? 4-1-3-2? C'è solo l'imbarazzo della scelta. Eppure, per "una serie di sfortunati eventi", lasciamo per strada le prime due partite di campionato perdendole entrambe, del gioco spettacolare neanche l'ombra, mano a mano perdiamo pezzi e, per farla breve, abbandoniamo la Coppa UEFA prematuramente. Da lì in avanti, complice anche un inaspettato quanto fruttuoso innesto di Beckham lo scorso gennaio, iniziamo a recuperare punti su punti, fino ad arrivare a scavalcare la Juventus seconda in classifica e a far sentire il nostro fiato sul collo dei primatisti neanche dieci giorni fa. Periodo buio finalmente lasciato alle spalle? Neanche per sogno. L'albero riadottato nel frattempo comincia a scricchiolare e proprio nella partita che più contava - lo scontro diretto in casa con i bianconeri - mettiamo in scena una clamorosa involuzione di gioco, reso impotente di fronte alla muraglia eretta in casa nostra dalla squadra di Ranieri. Lezione imparata? Macché. A Udine ci ripresentiamo con lo stesso identico schema, gli stessi identici uomini e, come se non bastasse, con un Filippo Inzaghi in meno ed un Pato, ancora una volta, fuori ruolo. Risultato? Prevedibile, anzi, prevedibilissimo. Per tutti i primi 45 minuti di gioco in attacco siamo praticamente inesistenti, con Ricky che viene a prendersi il pallone a centrocampo, Pato a svariare da una parte all'altra e in mezzo all'area... Seedorf.
Ci vuole un intero tempo, quindi, per suggerire ad Ancelotti che non si può fare a meno di Inzaghi. Al posto di Seedorf, così come la più semplice delle logiche suggerirebbe? Sbagliato. Via Flamini - l'unico ad avere fiato e nerbo di corsa da spendere ancora sulla fascia - ed un immobile Clarence spostato sulla destra. E Ronaldinho? Bisogna attendere ancora quindici minuti per vederlo entrare finalmente al posto di Seedorf. E Sheva? Eccolo ad una manciata di minuti dalla fine al posto di Pato. Al centro al fianco di Inzaghi a risolvere qualche mischione che si poteva creare? Non scherziamo. Bello defilato sulla destra, a dover anche coprire le folate sulla fascia dei friulani. Mettere, invece, Ricky da quella parte, no, eh? Tanto è vero che l'unico cross decente in area è giunto proprio quando Kakà si è decentrato sulla destra ed ha messo sulla testa di Ambro la palla dell'unico - ed inutile - goal rossonero. Eravamo al 93°...
Insomma, tutto questo per dire che appare ormai evidente come qualcosa non funzioni più sotto il profilo della gestione degli uomini e come sembrerebbe esserci un gusto quasi masochistico nell'effettuare determinate scelte.
Ci trovassimo davvero di fronte ad un capolinea?

Il cattivo.
Come detto più volte in passato, degli arbitri non parlo: è meglio. Possono sbagliare, possono inventarsi un rigore per una inesistente trattenuta in area, ammonire il difensore presunto reo del fallo (ma allora non andava espulso a termini di regolamento?), così come non fischiare un fuorigioco di almeno due metri pochi minuti prima e che solo un portiere in vena di miracoli ha sventato sul colpo di testa dell'attaccante. Va bene tutto.
Quello che però davvero non mi scende è l'attacco sistematico che subiamo settimanalmente da parte della stampa. Dite quello che volete, ma io comincio ad averne i coglioni pieni. I giocatori, il tecnico e la società tutta è fatta da iper-professionisti e queste cose dovrebbero fare loro un baffo, ma a tutto c'è un limite. E, guardate, dite quello che volete, questa spazzatura incide, eccome. Non si può sostenere ogni settimana il veleno che ci viene iniettato, logorando il sistema nervoso, mettendo in dubbio certezze, seminando zizzania.
E naturalmente, invece, passiamo noi come la società il cui proprietario "monopolizza" l'informazione con le sue 360 televisioni ed i suoi 1.200 quotidiani. Ma avete mai sentito/visto quello che dicono dalle parti delle trasmissioni televisive delle "sue" reti? Che merde.
Cattiveria allo stato puro, appunto.

3 commenti:

Coccy ha detto...

Gli interisti festeggiano la vittoria del terzo scudetto consecutivo, sostenuti dagli "esperti"-Sacchi compreso (che vergogna... gli si legge l'invidia in volto ogni volta che apre bocca - invidia nei confronti di Ancelotti si intende) - che presiedono le trasmissioni televisive, dai giornalisti della carta stampata, dalla classe arbitrale.
E' vero che il Milan è una grande squadra, grandissima e come dice Crow starei qui a ringraziarla per quello che ha fatto negli ultimi vent'anni anche se non vincesse niente. Ma i suoi uomini non sono robot, non lo è neanche il suo allenatore. E' il cattivo che ha fatto la differenza e che ha avuto la meglio sul brutto e sul bello. Proprio perché ritengo che i giocatori del Milan siano uomini e non bestie inferocite.
Non nascondo che ieri non ero proprio soddisfatta rispetto alle scelte tecniche di Carlo, anzi. Ma ad allenare gli uomini c'è lui e se Sheva, nonostante non sia stato impiegato in questo campionato dichiara di essere felice, e se Ronaldinho mantiene il sorriso di sempre e se Beckham ha voluto e vuole rimanere, significa che i problemi forse non stanno proprio dentro il Milan, casomai fuori. La bellezza e la bontà non contano troppo neanche nel calcio. Ahimé.

The Crow ha detto...

Cara Coccy, degli interisti e degli invidiosi non ti curar ma guarda e passa...
Il calcio, come la vita, è fatto di questo, dell'eterna contrapposizione tra il bello e il brutto, il bene e il male. C'è chi insegue il proprio ideale, i propri valori, e chi arraffa, randella, brancolando nel buio della propria ignoranza.
L'unico problema è che, purtroppo, nel calcio come nella vita non sempre il bello viene riconosciuto e non sempre i valori vengono premiati. Ma è proprio questo che ci distingue dalle tenebre.

AstoriaRecords ha detto...

Alla fine del giorno, il bene trionfa sempre sul male. I buoni vincono sempre sui cattivi. Possono perdere alcune battaglie, ma la guerra alla fine è sempre loro.