lunedì 30 giugno 2008

Titoloni dei giornali/1

Ad inizio settimana, o giù di lì, Adebayor ha dichiarato di volere il Milan. Solo il Milan. Era Lunedì, verso mezzogiorno, poco prima di pranzo. Poi però Adebayor si è sentito male, forse per un'intossicazione alimentare causa cozze avariate. E ha cambiato idea. Si è reso conto di volere il Barcellona. Ed è andato a dormire, lieto in volto. Il giorno dopo, a causa di una serie di incubi e premonizioni che gli hanno tolto il sonno, si è corretto. Aveva capito male la domanda postagli da un giornalista, e ha ribadito di volere nuovamente il Milan. Poi però, intervistato da una televisione austriaca a Vienna, ha ribadito con vigore di voler restare a vita nell'Arsenal. Poi, sulla strada verso l'albergo, ci ha ripensato, e a una signora che tornava a casa dal mercato ha sussurrato a un orecchio di volere giocare nel Milan. Uscito dalla stanza d'albergo, per una breve conferenza stampa, ha avuto un tentennamento, e ha ribadito la volontà di proseguire la sua avventura nei Gunners. Subito dopo ha comunicato a Seedorf via sms la volontà di giocare nel Milan, nonostante tutto. Oggi, a causa di una conversione à la Manzoni, è stato colto da un attacco di agorafobia, è corso in chiesa e lì, nel confessionale, ha espresso una preferenza per i blaugrana, a causa della mancata qualificazione in Champions del Milan. Il prete, acceso ultras dell'Albinoleffe, ha però garantito che domani Adebayor firmerà per i bergamaschi, perché il togolese gli avrebbe confidato di preferire la rilassatezza della vita di provincia. L'Ansa per ora conferma.

martedì 24 giugno 2008

Tifoserie intelligenti/1

Ieri è stata recapitata una busta strana in Via Turati. E' la seconda volta in un anno.
Contenuto delle buste in questione? Lettere impregnate di minacce e qualche proiettile.
I motivi? La campagna acquisti, secondo il mittente (anche se ritengo 'i mittenti'), troppo low profile. Non importa se l'inizio del calciomercato avverrà tra una settimana. Non importa se il calciomercato finirà tra due mesi e una settimana. Non importa se abbiamo vinto tutto, ma proprio tutto, negli ultimi cinque anni. Non importa se la storia insegna che a spendere tanto senza criterio si vinca poco. Non importa se abbiamo comprato, in meno di un mese, il miglior terzino del mondo (Zambrotta), un buon portiere (Abbiati), un centrocampista promettente corteggiato da mezza Europa e pagato zero (Flamini) e il vicecapocannoniere della precedente stagione calcistica (Borriello), oltre ad aver fatto rientrare due buoni giovani, come chiedevano i tifosi (Antonini ed Abate) e ad aver liquidato alcuni senatori o venduto giocatori inadatti al nostro gioco (Cafu, Serginho, Fiori, Gourcuff, Gilardino, Oliveira)
Quello che conta è che sono i tifosi, con le loro grida e i loro cori, a far vincere le squadre di calcio. Quello che conta è che sono i tifosi, con le loro e-mail e i loro sms spediti a programmi televisivi di dubbio gusto, a movimentare le strategie di mercato delle squadre di calcio. Quello che conta è che sono i tifosi i veri 'padroni' delle squadre di calcio. E possono fare ciò che vogliono. Bruciare cassonetti, spedire buste, accoltellarsi, rivendicare 'diritti' inalienabili ma mai esistiti, fare sit-in di protesta.
Occhio a lamentarsi troppo, a fare troppa propaganda, a cercare colpevoli inesistenti, che qui si sta tornando pericolosamente verso quella bruttissima stagione culminata con le stragi, gli omicidi e il terrore chiamata anni settanta.
Mi dispiace, e lo dico col cuore, di aver 'oscurato' il bellissimo post di Crow sulla partita dell'Italia. Ma non volevo che questa notizia morisse nel web, insieme a tante altre sciocchezze estive.

lunedì 23 giugno 2008

Era troppo bello per essere vero

Per comprendere la sconfitta di ieri sera, sarà opportuno partire dalla fine e precisamente dal 3° minuto del secondo tempo supplementare, quando è entrato in campo Del Piero al posto di Aquilani per gli ultimi dieci minuti che restavano da giocare.
Premesso che è sempre utile tenere a mente che nessuno di noi può evidentemente sostituirsi al CT e sapere meglio di lui quali fossero le condizioni psicofisiche di ogni singolo azzurro, risulta comunque davvero difficile condividere le scelte di Donadoni che lo hanno portato ad impostare una squadra che fin dai minuti iniziali ha letteralmente consegnato in mano ai sopravvalutatissimi spagnoli il pallino del gioco. Intendiamoci, quindi, non è che Del Piero titolare dall'inizio, da solo, avrebbe potuto risolverci chissà cosa, ma di fatto è stata messa in campo una formazione che non aveva nessuna possibilità offensiva. Ripeto, nessuna.
Eppure, il buon Roberto aveva dimostrato nelle precedenti gare grande intelligenza, quando con umiltà era giustamente ritornato sui suoi passi dopo aver visto lo sciagurato esordio del suo modulo preferito (i tre mediani di centrocampo, con le due ali ed un'unica punta centrale) contro l'Olanda, adeguando finalmente le formazioni nelle due partite successive per sfruttare decisamente meglio le caratteristiche degli uomini a disposizione, così come nei giorni scorsi abbiamo ben analizzato su questo blog. Contro la Spagna, invece, ci è toccato registrare non uno, ma ben due passi indietro, non solo ritornando ai tre centrali di centrocampo, ma con Perrotta trequartista (con tutto il rispetto) ed il solo Cassano perennemente defilato sulla sinistra a cercare di inventare "qualcosa" per un involutissimo ed isolato Luca Toni lì davanti. E sulla destra? Beh, non chiedetelo a me. In teoria, ci sarebbe dovuto essere Aquilani, ma lo avete mai visto giocare in quella posizione nella Roma? A me non risulta. Così, a prescindere, si è deciso di rinunciare, ad esempio, al gioco sulle fasce, fin troppo preoccupati di coprire la zona centrale del campo. Ed avete notato il deprimente paradosso? Che per spingersi in avanti a cercare di smuovere le melmose acque in cui ci eravamo cacciati da soli, Ambro ha più volte lasciato solo nell'uno contro uno Fabio Grosso contro Silva, che qualche brividino lungo la schiena ce l'ha procurato con il suo veloce gioco di gambe ed un sinistro niente male (almeno due tiri assai pericolosi a fil di palo ed una netta punizione ai limiti dell'area per un pestone proprio di Grosso, fortunatamente per noi non vista dall'arbitro).
Abbiamo dovuto aspettare, allora, un'ora buona per vedere entrare Camoranesi al posto di Perrotta, ancora di più per Di Natale al posto di un esausto, seppur più che positivo (ma troppo, troppo lontano dall'area di rigore avversaria per poter "realmente" incidere) Cassano e, come dicevo in apertura, il secondo tempo supplementare per vedere quella che a mio parere sarebbe dovuta essere la formazione titolare. Ma credete che gli uomini messi in campo siano stati schierati come ogni comune mortale potesse con un minimo di ratio supporre? Neanche a parlarne. A parte i due centrali di centrocampo rimasti, De Rossi ed Ambrosini, Camoranesi ha galleggiato per tutto il tempo in una indefinita posizione che andava dalla linea mediana fino alla tre quarti di campo, Di Natale è stato messo sulla destra perché evidentemente il buon Roberto si è ricordato che, magari, si potesse sfruttare anche quella fascia e, infine, Del Piero ha affiancato Toni al centro dell'attacco? Ma assolutamente no, naturellement. Perché si può "morire" di fame e di sete, consegnare la semifinale in mano agli imberbi iberici, ma mai - e sottolineo mai - rinunciare al proprio 4-3-3, come il più cocciuto degli Arrigo Sacchi ci ha insegnato. Ergo, Alex ha dovuto giocare quel che restava in un panorama di giocatori ormai ai limiti delle proprie capacità fisiche partendo dalla fascia sinistra e non, magari, sfruttando appunto anche l'appannamento possibile negli ultimi minuti di Puyol & Co. con una posizione centrale ai limiti dell'area come è a lui più congeniale. Così, come detto, quello che nello sviluppo degli Europei ci era apparso addirittura come uno dei pochi illuminati allenatori in circolazione, capace di fare il "mea culpa" sui propri convincimenti tattici e di tornare sui propri passi, ha finito per rivelarsi un puntiglioso testone (nonostante tutto, con il massimo affetto possibile, ovvio), come se avesse voluto darci il "contentino" di schierare una parvenza di formazione logica nelle due gare precedenti e poi, all'improvviso, farci lo scherzetto di svegliarci bruscamente con il suo inquietante (per noi, non certo per gli avversari) modulo preferito, come a dire: "Sì, avete ragione tutti, vi ha dato ragione perfino il campo, ma tanto alla fine comando io qui e faccio quello che voglio (della serie il pallone è mio e ci gioco io)".
Peccato, viene spontaneo. Non mi stancherò mai di ribadire il mio affetto e la mia infinita ammirazione per il favoloso giocatore che fu, ma come CT Roberto non mi ha mai del tutto convinto, anzi. E voi che frequentate Milan Football Hall lo sapete bene per averlo scritto proprio qui in tempi non sospetti, spiace dirlo.
Aragones ad un certo punto - forse per pietà - ha anche cercato di regalarci la partita togliendo un sempre pericoloso e di classe superiore Fernando Torres (sarà la "cura" Liverpool, ma che differenza con il confusionario, presuntuoso e "tuffatore" professionista Villa!), per inserire un rozzo e, nonostante il nome, per nulla effervescente Guiza (perdonatemi l'ignoranza, ma chi è?), ma l'unica "consolazione" che ci è rimasta è stata quella di un'eccellente prova di maturità data da Chiellini, una dopotutto buona prova difensiva e davvero poco o nulla più.
Vedere in lacrime alla fine della partita Andrea Pirlo e non vederlo in campo per via di quella dannata squalifica è stato un vero e proprio colpo al cuore. Il pensare, invece, come più volte detto da queste parti, ad un Filippo Inzaghi lasciato criminosamente a casa, è una coltellata mortale, il cui cadaverico fronte d'attacco della nostra Nazionale giace lì sotto i nostri occhi.
Altro che rigori sbagliati.
Dissolvenza.
Fine.

mercoledì 18 giugno 2008

E vissero tutti felici e contenti?

Pur essendo accadute un bel po' di cose nella giornata dell'Europeo di ieri che ci vedeva direttamente coinvolti, in realtà non c'è molto da dire al riguardo.
Ci è toccato sentire negli scorsi giorni che precedevano la partita con la Francia la frignante e nauseante storia del temuto "biscotto" che potevano servirci gli olandesi (già qualificati) e i rumeni (alla ricerca della vittoria-qualificazione), dolcetto avvelenato che avrebbe condannato a morte la nostra Nazionale, indipendentemente dal risultato della nostra partita. Ma senza fare una piega, il nostro Marco Van Basten, CT dei tulipani arancio, ha zittito tutti mandando in squadra sei undicesimi della formazione titolare e completandola con riserve altrettanto affamate. Risultato 2 a 0 per l'Olanda e i discendenti di Vlad Tepes mandati a casa.
Abituati alle miserrime "pastette" italiche, verrebbe spontaneo togliersi il cappello di fronte ad uno come Marco, ma in realtà ha fatto solo il suo dovere e, come ha giustamente dichiarato il nostro CT Donadoni - nonché suo grande amico - sarebbe stato folle il solo dubitarlo.

Quanto alla nostra partita contro i galletti francesi, spicciole considerazioni sparse.
Miglior in campo, senza se e senza ma, Andrea Pirlo: da solo avrà messo 167 volte Toni in porta e, per altre 167 volte, il neo-teutonico è riuscito nell'impresa di sbagliare l'impossibile, rigore procurato compreso. Sì, perché sarò un folle visionario, ma se non lo avesse buttato giù sciaguratamente (per loro, ovvio) Abidal, secondo me si era già allungato troppo la palla ed il portiere gli aveva già chiuso lo specchio. Chissenefrega, direte voi. Ed io non posso che associarmi. Ma se mi si consente di mettere in mostra come al solito la mia faziosità rossonera, ora come ora - a maggior ragione che non stiamo qui a piangere per l'eliminazione - posso dire ancora una volta che se là davanti ci fosse stato Sua Maestà Inzaghi, avremmo vinto come minimo 12 a 0, rigore o non rigore, espulsione o non espulsione.
Per il resto, finalmente una buona e volenterosa Italia e, cosa che non guasta mai, anzi, anche fortunata, vedi il raddoppio sulla punizione di De Rossi, con Henry a deviare alle spalle del suo portiere soltanto per aver deciso all'ultimo momento di aprire il suo piedone.
Va bene così. Ora, però, ci aspetta la Spagna: a differenza di ieri sera che "temevo" l'incontro con la Francia, sarò un pazzo, ma gli iberici non mi fanno paura, nonostante la covata di giovani "talenti" di cui tutti si riempiono la bocca. Naturalmente, visto come è andata ieri, penso tra me e me che dopo questa mia affermazione, non supereremo i quarti: quando imparerò a stare zitto?
In più, saremo senza Ringhio e Trilli Campanellino che, come ama sempre ripetere Carlo Pellegatti, possiede la più grande qualità che si possa trovare in un uomo: la fantasia.
Staremo a vedere.

Eye on the court

Ventidue lunghissimi anni. Tanto è passato dall'ultimo titolo NBA dei Boston Celtics, che finalmente ieri sera sono riusciti nell'impresa di diventare la 'squadra più forte del mondo' per la diciassettesima volta. Kevin Garnett, Paul Pierce (mvp delle finali), Ray Allen. Questo il trio delle meraviglie, assemblato ad inizio stagione, per riportare nel Massachussetts quel trofeo che sembrava diventato una maledizione, un po' come per i Red Sox con la loro Curse of the Bambino (dopo che vendettero Babe Ruth nel 1919 agli Yankees, non hanno vinto un titolo per quasi novant'anni).
Da Lunedì inizierà la nuova stagione, con un occhio puntato sul draft (Michael Beasley e Derrick Rose sono le due promesse) e con un altro sull'ex arbitro Tim Donaghy, coinvolto in un giro di scommesse (e poi multato) nel 2007. A distanza di un anno, Donaghy ha iniziato a fare rivelazioni sulla sporcizia che permea la Lega. David Stern e i suoi uomini si difendono, ma sono tante le partite sotto accusa. E in effetti, soprattutto ad Ovest, molto spesso gli arbitraggi hanno influito su alcuni risultati, evitando alle 'grandi' di uscire prematuramente dal torneo. Spettacolo, soldi, televisioni. C'è un po' di tutto. Staremo a vedere. Per ora, la punta dell'iceberg è una sfida tra Lakers e Kings del 2002, in cui i gialloviola sarebbero stati 'helped' in modo palese.
Per ora, complimenti ai ragazzi col trifoglio sulla maglia. Finalmente, dopo quasi un quarto di secolo, hanno riportato Boston sul trono del basket. E hanno dato nuovamente lustro alla Eastern Conference, troppo spesso vituperata e considerata una dozzina di gradini sotto alla sua gemella dell'Ovest - a tal punto che si era pensato, pochi anni fa, di sostituire le due metà con una Northern e una Southern Conference. Non se ne fece più nulla, ma uno squilibrio (almeno percepito) persiste. Le prime due scelte del draft di giovedì prossimo, in mano ai Bulls e agli Heat, potrebbero riportare un po' di quell'equilibrio perduto. E attendo con curiosità le sorti di Danilo Gallinari, giovanissimo fenomeno dell'Armani Milano, che seguirà la strada tracciata da Esposito e Rusconi (con poca fortuna) più di dieci anni fa, e poi ripassata da Bargnani (con media fortuna) e Belinelli (con nessuna fortuna) negli ultimi due anni.

martedì 17 giugno 2008

Rassegna biscottata

Ottimo Roberto Perrone sul Corriere della Sera di oggi, il quale ricorda come il tanto vituperato, schifato e condannato "biscotto" sia in realtà un ottimo dolce per la Nazionale di calcio. Partendo dai Mondiali del 1978, quando una vittoria dell'Austria (già eliminata) sulla Germania ci regalò la finale per il terzo posto, fino al mondiale di Corea, quando l'Ecuador (già eliminato) batté la Croazia e ci permise di approdare agli ottavi nonostante uno scialbo pareggio contro i messicani moribondi. In mezzo, la presunta combine di Spagna '82 - quella col Camerun, insomma, e la qualificazione agli ottavi di finale ad USA '94, ottenuta grazie ad una serie di fortunosi eventi "biscottati" che ci portarono avanti nel torneo. Insomma, come al solito, quando il biscotto è indigesto per noi, indignazione generale. Quando invece il medesimo dolcetto ci fa passare il turno, guai a chi osa anche solo farne il nome. Mah.

lunedì 16 giugno 2008

Go, Jack, Go!

In attesa della essenziale (ma anche "esiziale", se preferite) partita contro la Francia della nostra Nazionale di "futebol", spero che mi perdonerete una piccola digressione extra-calcistica.
E' qualche giorno, infatti, che una sorta di macchina del tempo mi ha riportato indietro di venti anni, quando una "giovane" Italia 1 portava nelle nostre case l'NBA, per me allora assoluta scoperta. Folgorato da "quella" pallacanestro giocata da autentici "alieni" rispetto agli standard europei, ben presto le "Finals" NBA divennero per me un appuntamento irrinunciabile e Dan Peterson uno compagno ideale per scatenare ulteriormente quella passione, non importava se per seguirlo bisognava aspettare le ore piccole. Per uno come me che da piccino veniva portato dal suo papà a vedere il mini-basket che insegnava nelle scuole, quella passione rimase seconda solo al Milan, nonostante i primi anni ottanta non facessero granché per esaltare i sogni di gloria rossoneri di un ragazzino. Gesù, quanto avrei voluto che il "mio" Milan di allora giocasse a mille all'ora come quei giganti americani. E immaginatevi le lampadine che si accesero in testa ad un quattordicenne quando uno come il Maestro (rigorosamente maiuscolo) Liedholm se ne uscì con una delle sue celeberrime "boutade" (o, almeno, ritenute tali da una stampa sempre poco attenta), affermando che per la sua "magica" Roma dei Falcao, dei Bruno Conti e dell'indimenticato capitano Di Bartolomei si era ispirato a anche a qualche schema preso in prestito dalla pallacanestro. Su tutti e su tutto, furono quelli gli anni dei leggendari Los Angeles Lakers e del loro favoloso quintetto base: Earvin "Magic" Johnson, Byron Scott, James Worthy, AC Green e, nientepopodimenoché, Kareem Abdul-Jabbar: alzi la mano chi se lo ricorda in un mitico "duello" con Bruce Lee in uno dei suoi ultimi film, con l'orma del suo piedone stampata sulla maglietta di Bruce dopo il calcio che gli aveva rifilato. Che tempi.
E non meno leggendarie furono le sfide infinite di quegli anni con i rivali di sempre: i Boston Celtics di Larry Bird. Risultato? In quattro anni, dalla stagione '83/'84 a quella '86/'87 per ben tre volte i Lakers si incrociarono con i Celtics in finale, vincendo due titoli e perdendone uno.
Devo ammettere, purtroppo, che poi nel corso degli anni, perso mano a mano nel dedalo dei mille canali televisivi dalla TV satellitare in poi, gran parte di quella bruciante passione per i Lakers è andata via via spegnendosi, ma quel piccolo angolino di cuore dove la tenevo custodita è letteralmente divampato di nuovo quando ho saputo che nella finale di quest'anno si sarebbero nuovamente incontrati i Lakers con i Celtics: WOW, a più di venti anni di distanza lo stesso identico brivido mi è corso lungo la schiena e sono andato in giro a cercare dove diavolo potessi vedermi le finali in TV, ma con scarsi e frustranti risultati (qualche spicciolo su Sportitalia a notte fonda e nulla più). Sfortunatamente, le cose finora per i miei adorati gialloviola non sono andate benissimo e, nonostante l'ultima vittoria in casa in gara 5, la situazione appare ormai compromessa: con le ultime due gare rimaste da giocare a Boston e con un 3 a 2 da ribaltare, difficilmente i Lakers porteranno a casa questo titolo.
Ma avete presente Jack Nicholson scatenato in prima fila? Ecco, quando io sento odore di Lakers, sono così. Immaginatevi per il Milan...

P.S. En passant, mini-sondaggio al volo: che ne dite di "allargare" sporadicamente questo blog anche ad altre discipline sportive come in questo post? La bella citazione del rugby ad opera di Mavalà nel suo ultimo commento mi suggerisce che non solo che l'idea sia praticabile, ma che possa essere molto interessante da sviluppare e dare più di uno spunto di riflessione anche in relazione del nostro sport "principe". Dite la vostra.

sabato 14 giugno 2008

Meridiano di sangue

Non me ne voglia Cormac McCarthy per la citazione del suo libro capolavoro, ma quello che ai miei occhi è andato in scena ieri allo stadio Letzigrund di Zurigo è stato una sorta di film horror-western, con i vampiri rumeni da una parte che attendevano pazientemente che gli azzurri mostrassero il collo per azzannarli - così come poi si è puntualmente verificato con il goal del conte Mutu che si è famelicamente avventato sull'incauta vittima Zambrotta - e dall'altra un finale western in puro stile "mezzogiorno di fuoco", dove il cowboy Buffon, con tanto di fazzoletto al collo, ha incrociato in una sfida all'ultimo sangue ancora il conte Mutu dagli undici metri, parando il suo attacco che a quel punto della partita sarebbe potuto essere per noi davvero "mortale".
Suggestioni a parte, non so se voi sarete d'accordo o meno, ma per quanto mi riguarda la realtà è stata una e molto semplice: gli Azzurri, al di là dell'encomiabile "cuore" che hanno messo nella gara, non sono riusciti ad andare oltre l'unico schema offensivo che era quello di crossare in area per il testone di un ancora opaco Luca Toni, "inventandosi" un 4-4-2 (in verità, se vi ricordate, lo stesso suggerito nel post "The Day After" di quattro giorni fa, con la stessa formazione fatta eccezione per De Rossi al posto di uno tra Gattuso e Ambrosini), dove non si capisce il perché spesso e volentieri i due esterni di centrocampo Camoranesi e Perrotta "tagliavano" verso il centro, il più delle volte a vuoto, così azzerando i raddoppi sulle fasce con i terzini che salivano e costringendo in particolar modo Pirlo a decentrarsi sulla destra per coprire nelle ripartenze rumene i vuoti lasciati dagli accentramenti dell'italo-argentino. In tutto questo, Del Piero è sembrato letteralmente spaesato in un contesto del genere, non sapendo cosa farsene dell'ennesimo cross piovuto in area e non avendo nessuno con cui dialogare palla a terra. Le cose sono un tantinello migliorate nel secondo tempo con l'ingresso in campo di Cassano, il cui estro però è stato più bello da vedersi che di sostanza, spesso avvitandosi su sé stesso, piuttosto che concretamente trovare la via per andare (o mandare) a rete: il suo tiro in porta praticamente dalla linea di fondo, invece di cercare di metterla al centro per trovare un compagno meglio piazzato, sta lì a dimostrarlo.
Insomma, non vorrei che alla confusione degli Azzurri si aggiungesse la nostra, scambiando le occasioni che comunque sono state create, appunto, confusamente con una benché minima idea di gioco. D'altro canto, la Romania si è dimostrata squadra tostissima, rognosa, compatta, paziente, pericolosissima in un paio di conclusioni dalla lunga distanza e su tiri piazzati, colpendo addirittura un palo nel primo tempo e risultando letale nella velocità e nella tecnica di Adrian Mutu che ben conosciamo. In altri termini, onestamente non mi sembra che non abbia meritato il pareggio o che abbia pensato solo a difendersi come ho sentito dire abbia fatto con la Francia (partita di cui sono riuscito a vedere sì e no dieci minuti).
E non mi si venga a parlare dell'arbitro, il norvegese Ovrebo, perché se è vero che il fuorigioco sul goal di Toni nel primo tempo non c'era (particolare non trascurabile, ne convengo, ma ascrivibile naturalmente più al guardalinee che a lui), per il resto mi sembra che la sua direzione sia stata buona, sbagliando poco quanto niente, rigore dato ai rumeni e non dato a Toni compreso. Poi, il malcostume italico di aggrapparsi sempre alle corna dell'arbitro per mascherare le proprie sconfitte è un altro discorso, ma certo non ci appartiene.
La Francia travolta dall'Olanda ieri sera ha completato il quadro della anemica, se non in fin di vita classifica degli Azzurri: temo che per noi il sipario su questi Europei sia calato ancor più in fretta di quanto, ahinoi, temessimo (e avessimo previsto nei giorni scorsi).

martedì 10 giugno 2008

The Day After

Potremmo sbrigativamente liquidare l'esordio agli Europei della nostra nazionale con un semplice "lo avevamo detto", ma odio ripetermi. E, in effetti, i dubbi e le perplessità avanzati ieri da me e da Astoria si sono rivelati più che timori fondati, bensì "catastrofica" realtà che è ora sotto gli occhi di tutti.
Piccole e, se volete, banali riflessioni - rigorosamente personali, ovvio - su quanto accaduto ieri sera, così, en passant.
Come è possibile presentarsi con una coppia di centrali difensivi come quella formata da Barzagli e Materazzi? Ma li avete visti come ballavano in mezzo alle verticalizzazioni olandesi? OK, grossi nomi in quel ruolo, in special modo con il nostro passaporto, non è che ce ne siano chissà quanti, anzi, e l'infortunio di Cannavaro sotto questo punto di vista è stata una vera e propria sciagura per la squadra. Ma siamo proprio sicuri che non ci fosse nessun altro "migliore" di Barzagli e Materazzi? Soltanto per restare ai convocati di Donandoni, non dava sicuramente più affidabilità al centro almeno uno come Panucci dal primo minuto? Va bene, passerò per fazioso - beh, da tifoso milanista, non posso che esserlo - ma, ad esempio,  per parlare solo dell'esperienza internazionale, mi dite perché è stato convocato Gamberini come "sostituto" di Cannavaro e non Bonera? E, sempre da milanista, OK, lo scorso finale di stagione non è proprio stato uno dei suoi più brillanti in assoluto, ma uno come Oddo non poteva tornar comodo almeno per far rifiatare, che so, Zambrotta titolare a destra con Grosso a sinistra? No? Meglio Chiellini che ormai gioca da centrale fisso nella Juventus?
Ma le cose sono andate ancora peggio se andiamo a dare un occhio su quanto successo dal centrocampo in su. A parte il trio rossonero Ringhio-Pirlo-Ambro che non ci voleva un genio per capire quanto fossero stati spremuti in questa stagione - e, ahimé, si è visto eccome ieri sera - ma faccio una considerazione da un centesimo. Nel Milan quel centrocampo fatto di cervello e muscoli è a supporto di un alieno come Kakà e di un fuoriclasse assoluto come Seedorf, per non parlare del autentico killer Inzaghi come terminale offensivo quando gli acciacchi glielo permettono. Ora, mi "sembra" che né Camoranesi sia un alieno, né tantomeno Di Natale sia un fuoriclasse assoluto, ma, al massimo, per quello che si è visto ieri, due UFO in quanto "oggetti non identificati". Aggiungiamo poi la serata "no" di Luca Toni e il potenziale offensivo della nazionale si è rivelato in tutta la sua imbarazzante pochezza. Non è un caso, infatti, che le cose almeno un minimo siano cambiate proprio con l'ingresso in campo del da noi "richiesto" ieri su questo blog Del Piero. E' evidente, quindi, almeno ai miei occhi, come non si possa giocare con "quel" centrocampo, quando non hai a disposizione "quegli" attaccanti.
Quale, allora, una delle possibili soluzioni? Solo per rimanere ai giocatori convocati, via uno tra Gattuso e Ambrosini a centrocampo e la "scelta" da affiancare ovviamente a Pirlo in cabina di regia. Camoranesi a destra come ala pura (seppur moderna, ovvio) così come gioca nel suo club e, là davanti, Toni con alle spalle Del Piero. Manca il quarto di centrocampo a sinistra o il trequartista, se preferite, da schierare dietro le due punte, con un trio di centrocampo formato - allora sì - dai nostri tre ragazzi, oppure da Camoranesi a destra sulla mediana (ruolo già ricoperto con la Juventus), Pirlo al centro e De Rossi a sinistra. Il trequartista potrebbe essere Cassano - stando sempre agli uomini che si è portato dietro Donadoni - ma potrebbe anche essere decentrato a sinistra nel centrocampo a quattro, così come descritto prima. Oppure, come laterale (più o meno) offensivo di sinistra uno a scelta tra Perrotta e Di Natale, snaturandoli, ma tant'è.
In definitiva, comunque sia o sarà, non vedo un gran futuro per i nostri azzurri, così come del resto non lo vedevo neanche ieri quando ho scritto il post nel pomeriggio prima della partita. Poi, magari, come osservava acutamente Astoria ieri, si potrà pure vincere con un rigore al 94' come contro l'Australia nei Mondiali scorsi, ma salvo miracoli dalla prossima partita in avanti che possano smentirci (e, almeno per quanto mi riguarda, ne sarei comunque sempre ben felice), una nazionale capace di scaldare i nostri cuori è un'altra cosa, sorry.

lunedì 9 giugno 2008

Ma il treno dei desideri, nei miei pensieri all'incontrario va

Nel giorno dell'esordio della nostra nazionale agli Europei austro-svizzeri, stasera ci vestiremo tutti di azzurro per supportare i ragazzi. Per chi, poi, è un milanista di lungo corso come me, la partita con l'Olanda sarà motivo di particolare emozione, perché vedere sulle rispettive panchine nelle vesti di commissari tecnici due come Roberto Donadoni e Marco Van Basten, beh, sarà una tempesta di ricordi di uno dei nostri Milan tra i più forti di tutti i tempi (vedi post "La squadra perfetta"). A dirla tutta, però, andrò controcorrente e confesserò che tanto ho venerato i due come autentici dei quando all'epoca bruciavano il campo con la maglia rossonera, tanto mi sono, come dire, poco "simpatici" ora nel loro nuovo ruolo di selezionatori della propria nazionale. Onestamente, non ho seguito molto le sorti dei "tulipani" negli ultimi tempi per poter esprime una compiuta opinione sull'operato di Marco, ma "a pelle" ho sempre mal digerito il suo tener "sotto esame" uno come il nostro Clarence Seedorf e di non convocarlo nelle prime uscite della sua nazionale. E, anche quando ha ceduto e sono arrivate le prime (tardive) convocazioni, è sembrato più per una forzatura dettata dallo stratosferico finale di Clarence nella Champions 2007 che per reale convincimento di Marco. Come è andata a finire? Che Clarence si è rotto le scatole e, alla vigilia degli Europei, ha chiamato Marco ed ha cortesemente - così come è nella sua signorilità - declinato il suo invito a far parte della spedizione olandese. Opinione strettamente personale, beninteso.
Quanto a Roberto, invece, devo fare una premessa. E' qualche anno che, pur non perdendomi neanche un'amichevole, la nostra nazionale non mi fa più "vibrare" come quando da ragazzino vivevo a pane e pallone quotidiano. E anche quando sono diventato più grandicello - ma mai "grande", come potrebbe sostenere qualcuno di mia conoscenza - ho provato ben altre emozioni di fronte agli azzurri. Penso, ad esempio, alla splendida e sfortunata nazionale di Vicini ai Mondiali del '90 in Italia, così come quella di Sacchi - un po' meno "splendida", a dir il vero - negli USA quattro anni dopo (e chi se le dimentica più le lacrime di Baresi?). E, per venire a tempi più recenti, ho continuato a sostenere fermamente le nazionali di Cesare Maldini e di Giovanni Trapattoni, infrantesi rispettivamente come ricorderete sul dischetto dei rigori in Francia '98 e sullo scoglio(ne) Moreno in Corea 2002. Dopodiché, quando è stato chiamato Marcello Lippi alla guida degli azzurri, le cose per il sottoscritto sono almeno parzialmente cambiate. Non nascondo, ovviamente, che parte della mia - ingiustificata, lo ammetto - "mal disposizione" nei suoi confronti è stata dettata dal mio essere milanista e dai suoi trascorsi juventini, con tanto di parentesi neroazzurra. Ma pur riconoscendogli indubbie capacità tecniche - soprattutto nel portar a casa risultati, non tanto nel far esprimere un gioco alle sue squadre, come probabilmente converrà con me Astoria se lo conosco bene - mi è sempre risultato difficile sopportare l'arroganza dell'uomo, costruita ad arte ad uso e consumo del personaggio "antipatico di successo" che si è voluto cucire addosso. E il destino che razza di scherzo ha voluto combinarmi (no, non è un mio delirio di onnipotenza, ma un prendermela sul "personale", se mi state seguendo nel ragionamento e non vi siete ancora addormentati)? Che probabilmente la nazionale che a mio avviso meno l'avrebbe meritato degli ultimi quindici anni è stata l'unica a vincere il Mondiale. Sarà stato l'atroce dolore nel vedere ancora una volta penalizzato dall'ennesimo infortunio il nostro sfortunatissimo Alessandro Nesta nella partita contro la Repubblica Ceca, in più sostituito da lì in avanti da uno come Materazzi (l'antitesi dell'estetica del calcio), ma prendete ad esempio la sola finale con la Francia e ditemi se tra 90 minuti regolamentari e 30 di supplementari (rigori esclusi, of course), chi avrebbe meritato la vittoria "ai punti". E chi ha segnato il goal del pareggio che ci ha permesso di arrivare ai rigori? Proprio Materazzi. Il quale, però, naturalmente aveva anche provocato il rigore dell'iniziale vantaggio francese... Pazzesco. Ma il calcio, come la vita, nasconde il suo (a volte perverso) fascino proprio in questo, non sempre premiando i "migliori", spesso regalando emozioni del tutto inaspettate. E, per intenderci, non che io non abbia esultato la sera del 9 luglio 2006, anzi!
Bene, mi direte voi, e che cosa c'entra tutto questo con il "milanista" Donadoni? Mah, quando è stato incaricato lui come CT, probabilmente sarà stata l'"onda lunga" di Lippi a lasciarmi ancora "freddino" nei confronti degli azzurri, nonostante Roberto fosse naturalmente "uno dei nostri". Poi, ho iniziato a vedere le prime "avvisaglie" di come intendeva lui il suo nuovo ruolo, in maniera mi è sembrata alquanto "sacchiana", commettendo lo stesso errore del suo vecchio maestro quando prese in mano la nazionale e cioè quello di voler imporre a tutti i costi il suo modulo, piuttosto che far giocare al meglio i giocatori a disposizione. Se ci fate caso, il Del Piero sacrificato a sinistra visto recentemente contro la Francia non vi ha ricordato il Signori costretto a sputar sangue sulla stessa fascia nei Mondiali USA? La nazionale, banalmente, non è una squadra di club e il (pochissimo) tempo a disposizione non ti permette di eventualmente "plasmare" i giocatori per meglio adattarli ai tuoi schemi, ma al contrario - sempre per come la vedo io, ovvio - dovrebbe essere una saggia e certosina equazione di quanto di meglio ha espresso il campionato, con in più l'aggravante di non poter "acquistare" quel determinato giocatore che farebbe furore nella tua idea di gioco se non ha il passaporto italiano. Detto questo, come si fa a non dare "carta bianca" là davanti ad uno che viene da un campionato stellare come quello di Del Piero o, peggio ancora, a non convocare Sua Maestà Inzaghi? Spero naturalmente di sbagliarmi. Così come, altrettanto ovviamente, questa sera sarò davanti alla TV con la bandierina tricolore in mano. E chissà che il mio iniziale scetticismo, come nel caso della nazionale di Lippi, scaramanticamente non porterà qualcosa di buono più avanti.
Forza Roberto, Forza Ragazzi, Forza Italia.

giovedì 5 giugno 2008

Su il sipario, iniziano le danze (o come sopravvivere a Mourinho e alle fesserie che leggeremo nel giornale rosa che si trova sul bancone dei gelati)

Diversamente da ciò che si attendevano i più scettici (al massimo un paio di acquisti low cost e low profile più l'eventuale ritorno di Shevchenko), il mercato estivo si sta rivelando molto interessante per il Milan.


Innanzitutto è arrivato un ragazzo di ventiquattro anni, Flamini, che garantisce ricambio a centrocampo, dove il trio Gattuso-Pirlo-Ambrosini ha bisogno (ogni tanto) di rifiatare. A molti tifosi Flamini era piaciuto parecchio dopo averlo visto nella doppia sfida di coppa con l'Arsenal. A molti tifosi non era invece piaciuto il fatto che la Juventus fosse riuscita a strappare, prima di noi, un sì al giocatore. A molti tifosi, da quando invece si è accasato al Milan, in fondo Flamini non è più piaciuto poi così tanto. Antiche ruggini tra dirigenza e tifoseria. Esulando da considerazioni tecnico-tattico-strategiche, qualcosina la si può dire sul francese. Considerando che è stato preso a parametro zero e che le alternative, a quel prezzo, erano giocatori mediocri o sulla strada del ritiro, la dirigenza si è mossa bene. Del resto, nessuno si domanda perché la Juve stia arrivando quasi a vendere Trezeguet per buttarsi su Xabi Alonso? Perché Xabi Alonso costituisce il piano B bianconero. Avessero comprato, come tanto desideravano, Flamini, credete che starebbero preparando un assegno da venti milioni di euro per il basco del Liverpool?

Ad ogni modo, dopo aver concluso la trattativa con Flamini, il Milan si è poi mosso su diversi fronti. Almeno a detta di Galliani, servivano un portiere (Abbiati), un terzino (Zambrotta), un centrale (per ora ignoto), un'ala (per ora ignota), un paio di attaccanti (Borriello è il primo, l'altro per ora ignoto).

Capitolo portiere. Il rientro di Abbiati non deve essere visto così negativamente come alcuni suggeriscono. Christian ha disputato un'ottima stagione a Torino sponda Juve, una buona stagione a Torino sponda Toro e una buona stagione a Madrid sponda Atlètico. A trentun anni potrebbe essere finalmente giunto per lui il momento di confermarsi ad alti livelli. Kalac va benissimo come riserva, mentre Dida è un'incognita. Personalmente, sono per il rilancio di Nelson. Credo in lui, credo nel riscatto dell'essere umano, credo nelle seconde possibilità. Molti dicono "ma Dida ne ha già avute parecchie di possibilità". E' vero, ma non gli era mai capitato di essere tenuto in tribuna per sei mesi. Non scatterebbe in ognuno di noi un forte desiderio di rivalsa, se avessimo vissuto una situazione simile alla sua? Ad ogni modo, se Dida diventasse (come alcuni sostengono) il titolare in Coppa UEFA, avrebbe una grande occasione per rilanciarsi, non rischiando inoltre di incappare in figuracce dannose per la classifica. Anyway, per vincere un campionato Abbiati e Kalac sono più che sufficienti.Piccola postilla su Lloris. Nessuno l'ha mai visto giocare. Nessuno neanche lo conosceva, appena un mese fa. Nessun grande club ha mai offerto una lira al Nizza per lui. Eppure, appena il Lione (un club medio) ha sborsato dieci milioni di euro per accaparrarselo, è sceso giù un diluvio universale di critiche. Sono riuscito a vedere un brevissimo clip su di lui. E' un buon giovane portiere. Nulla per cui stracciarsi le vesti e i capelli. E questa tragedia greca messa su dalla tifoseria per un semisconosciuto transalpino rasenta il ridicolo. Il mio resoconto? Coupet ha lasciato il Lione. Serviva un portiere. I grossi nomi al Lione non ci volevano andare. Chi c'era di disponibile in Francia? Monsieur Lloris. Bene, ecco un assegno. Fine della storia.

Capitolo terzino. Zambrotta è uno dei migliori nel suo ruolo. Venerdì scorso, contro il Belgio, lo ha ricordato ai dubbiosi, che già mugugnavano quando si è saputo che avrebbe firmato a breve per noi. Dribbling, corsa, cross, tiri. Può giocare sia a destra che a sinistra. Con Oddo, Jankulovski e Maldini siamo coperti sulle fasce. E Bonera e Kaladze sono anch'essi jolly spendibili sui due lati della difesa.

Capitolo centrale. Alcuni dicono Darmian della Primavera. Altri parlano di Ferrari della Roma. Altri ancora di Canini, Materazzi, Gamberini. Insomma, una rosa variegata di nomi. Personalmente, non vedo grandi centrali in giro. Puyol e Marquez del Barcellona non sono male, così come Sergio Ramos, ma adattarsi al calcio italiano non è facile. Tutto dipende da quanto spendiamo per rinfoltire l'attacco. Dovesse arrivare un Eto'o, un Drogba o un Adebayor - e quindi spendessimo almeno trenta milioni in quel reparto, è probabile che il candidato più probabile per un posto da difensore sarà un parametro zero. Ferrari è il primo della lista dei graditi da Ancelotti. Qualcuno inevitabilmente dovrà arrivare, soprattutto in seguito alle dichiarazioni rilasciate ieri da Simic che ha invocato una cessione, con preferenza Glasgow sponda Celtic.

Capitolo ala. Serginho va rimpiazzato degnamente. I nomi che sono circolati maggiormente erano quelli di Robinho, di Mancini, di qualche brasiliano seminoto. Alcuni dicono che Jankulovski verrà spostato sulla fascia in un 4-4-2 con Kakà (o Pato) e una sola punta. Come idea non sarebbe male, ma quanto ci possiamo fidare del rendimento di Marek? E' notizia di questi giorni che il Milan vorrebbe riscattare Antonini dall'Empoli. Considerata l'età e il rendimento del giocatore, mi sembra un buon affare.Update dell'otto Giugno. Il Milan ha riscattato Antonini. Galliani ha detto che sarà proprio lui a dover raccogliere l'eredità di Serginho. Non lo conosco benissimo è italiano ed è un prodotto del vivaio. Insomma, rispetta le norme FIFA in toto, guardando al futuro. A questo punto mi domando - ma se davvero la FIFA rivoluzionerà le regole calcistiche in materia di giocatori nazionali, comunitari ed extracomunitari, cosa cavolo ne resterà dell'Inter?

Capitolo attaccanti. Borriello è rientrato alla base. C'è chi lo voleva disperatamente, convinto che la società avesse commesso un grave errore a venderlo, e chi invece lo ritiene un attaccante di categoria, di medio livello - insomma, da "unica punta in piccola squadra" (nella buona tradizione dei vari Tovalieri, Maniero, Protti, etc.). A me Borriello non ha mai fatto impazzire, ma staremo a vedere. Come quarto attaccante, dopo Pato, Inzaghi e il "grande acquisto" potrebbe anche andare bene. Il "grande acquisto" dovrebbe invece essere uno tra Eto'o e Drogba, con Adebayor, Gomez e Berbatov in seconda fila. A quanto sembra, uno dei primi due verrà da noi e l'altro andrà da Mourinho. Personalmente preferisco Eto'o, perché Drogba è più vecchio e perché nel Chelsea tiene molto il pallone. Da noi, con Pirlo-Seedorf-Kakà-Pato, l'ivoriano sarebbe un po' imbavagliato, dovendosi limitare a fare l'animale d'area. E in quel ruolo abbiamo il più grande calciatore della storia, ossia il signor Inzaghi Filippo da Piacenza. Inoltre, qualche mese fa il Milan aveva trattato Van Nistelrooy, che io comprerei immediatamente dati il costo e il numero impressionante di goal che fa ogni stagione. E poi gli olandesi sono abbastanza affidabili - Reiziger, Bogarde e Kluivert a parte. Infine, è di queste ore la notizia che la Juve voglia far cassa cedendo Trezeguet. Ecco, se lo si potesse portare a Milano, lo juventino sarebbe secondo me un grande colpo. Segna tanto, segna sempre, segna in modi diversi. E costa relativamente poco. E con i quattro artisti rossoneri citati in precedenza, si troverebbe decine di palloni invitanti. Perché non provarci?

Capitolo entrate (di denaro) ed uscite (di giocatori). Pochi hanno sottolineato la bravura della società in questo frangente. Abbiamo salutato con affetto Cafu, Serginho, Ronaldo, Fiori e Ba, ormai stanchi e desiderosi di smettere o di cambiare aria. Abbiamo liquidato (in senso economico) Oliveira e prestato Gourcuff al Bordeaux, così da dargli una chance. Abbiamo venduto Gilardino ad un prezzo pazzesco - anche se l'anno prossimo facesse ottanta goal, a Milano non avrebbe potuto fare di meglio. Prandelli lo rilancerà, gli darà fiducia incodizionata, e Alberto tornerà quello di Parma. Mezza tifoseria rossonera bacchetterà la dirigenza, come ovvio, ma la verità è che abbiamo fatto un affare. Infine, sono state risolte alcune comproprietà e prestiti, che hanno portato nelle casse societarie una discreta somma di denaro. Galliani parla di entrate pari a ventisei milioni di euro - più cinquanta percento rispetto alla scorsa stagione. Va inoltre ricordato, come è stato oggi fatto sul sito del Milan, che il settore giovanile della squadra è diventato una fonte di giocatori e di denaro da non sottovalutare. Fino a qualche anno fa i migliori prodotti del vivaio erano calciatori del calibro di Gasparetto, De Zerbi, Rabito. Insomma, nomi che non suscitavano tanta invidia e che sono quasi scomparsi dal panorama calcistico che conta. Invece, negli ultimi anni abbiamo lanciato, tra gli altri, Donadel, Borriello, Sammarco, Matri, Abate, Marzoratti, Antonini. Tutti più o meno titolari in serie A. E poi Paloschi, Di Gennaro, Darmian. Ragazzi pronti al grande salto. Insomma, il Milan del nuovo corso sembra aver colmato alcune lacune ed aver impostato una politica societaria più intelligente. Vent'anni fa gli assegni in bianco del Presidente bastavano per arricchire la rosa, ora si devono rispettare le norme FIFA in materia di italiani e di giovani.

Rebus sic stantibus, ritengo che la strada intrapresa sia quella giusta. Aspetto con fiducia le prossime settimane, convinto che arriveranno ancora un paio di giocatori e che il prossimo anno diremo la nostra. Come abbiamo sempre fatto.

martedì 3 giugno 2008

La squadra perfetta

Ho letteralmente "divorato" il libro di Giarcarlo Dotto "La squadra perfetta" (Mondadori), il cui eloquente sottotitolo recita: "Perché il Milan allenato da Sacchi ha giocato il miglior calcio della storia". Le origini dell'utopia sacchiana ben presto divenuta realtà, l'iniziale scetticismo degli stessi giocatori di fronte ai rivoluzionari (e pesantissimi) metodi di allenamento, per non parlare di quello della "critica", con Gianni Brera che scriveva su "Repubblica" dopo lo 0-2 incassato in casa dal Milan contro la Fiorentina nel 1987 che "insistendo su quei creduli schemi si andava a morte sicura", mentre di lì a poco Candido Cannavò sentenziava sulle pagine della "Gazzetta" che "il campionato è già assegnato al Napoli", fino al burrascoso rapporto di Sacchi con Silvio Berlusconi e a tutte le vittorie di quella irripetibile stagione.
Per chi come me oggi non ha più - ahimé - vent'anni, ma più o meno li aveva all'epoca, è un continuo (ri)emergere di ricordi, sensazioni, emozioni, raccontati sapientemente da Dotto. Ma a maggior ragione consiglio vivamente questo bellissimo libro anche a tutti i più giovani e, perché no, anche non milanisti, per meglio conoscere il "Messia di Fusignano", tutto quello che ne scaturì dal suo "credo" e i "cavalieri che hanno fatto l'impresa", dall'immaginifico trio olandese dei Van Basten, dei Gullit e dei Rijkaard, fino all'ossatura italiana costituita da gente del calibro di Baresi, Ancelotti, Maldini, Tassotti, Donadoni, i due Galli, Evani, Colombo e Virdis.
Due i momenti del libro che mi piace qui citare. Il primo è il racconto di quando lo stesso Giancarlo Dotto insieme al suo amico Carmelo Bene - il MITICO Carmelo Bene da sempre milanista - si ritrovarono inginocchiati all'unisono di fronte al televisore quando videro "una pallaccia che spiove da lontano. L'oggetto vola sghimbescio, tocca l'apice, rotola, precipita giù brutto come una meteora ingovernabile, cade e sviene, il pallone, muore fulminato, sul piede sinistro di Van Basten, l'olandese in pantofole, che danza poi sulle punte una piroetta alla Nureyev e inventa a seguire di spalle un assist cieco per qualcuno che poteva essere Donadoni".
Il secondo, invece, è quando nel novembre del 1989 un Milan "trasfigurato e plurisinistrato", con una prestazione che sa di impresa, riesce a superare negli ottavi di Coppa dei Campioni il Real Madrid. Ma è lo stesso Milan che in campionato perde a Cremona e ad Ascoli. Sacchi spiega: "E' difficile per noi pensare due cose insieme molto intensamente".
Vi ricorda qualcosa?

lunedì 2 giugno 2008

The Man

Per puro caso mi è capitata tra le mani una copia di GQ di aprile scorso con una bellissima intervista al nostro Clarence "The Man" Seedorf. Neanche a dirlo, se mai potesse esserci ancora il benché minimo dubbio residuo, Clarence mette in mostra un acume ed una intelligenza davvero fuori dal comune, con una umanità lontana anni luce dai patetici "omuncoli" che popolano il mondo del calcio, che siano tesserati o che siano i cosiddetti "giornalisti sportivi".
Se vi capita, recuperate assolutamente questo numero. Oppure, potete leggere una parte dell'intervista qui.
Chiude un magnifico ritratto del nostro ad opera dello scrittore Edoardo Nesi (milanista, ma è un dettaglio), che ci spiega perché Clarence Seedorf è un genio.
Sentite che cosa dice: "Come gioca a calcio Clarence Seedorf, non gioca nessuno. In senso letterale. Che venga relegato sulla fascia sinistra o sia lasciato libero di muoversi dietro un'unica punta, Seedorf riesce come nessun altro a dare l'idea che quando il pallone è tra i suoi piedi, tutto possa succedere. Nei suoi giorni migliori è imprevedibile, immarcabile".
E ancora: "Non è vero che Seedorf non si impegna. E' la natura del suo gioco a renderlo necessariamente incostante, quel non poter fare a meno di scegliere sempre la soluzione di gioco più intelligente, senza mai pensare alla difficoltà del colpo o alla reazione dei compagni, dell'allenatore, dei tifosi se sbaglierà. Il calcio di Clarence Seedorf è una continua, coraggiosa, difficile, umanissima assunzione di responsabilità, e diventa spettacolare solo quando ce n'è davvero bisogno, come quando col tacco, senza guardare, lanciò in gol Inzaghi a Monaco".

domenica 1 giugno 2008

Milan Football Hall: anno uno

Ad esattamente due settimane dalla fine del campionato, citando il Batman di Frank Miller fresco di stampa nella sua edizione "absolute" ad opera della Planeta DeAgostini (per chi non sa di cosa parlo, consiglio vivamente anche le due magnifiche ed analoghe edizioni de "Il ritorno del cavaliere oscuro" e "Il cavaliere oscuro colpisce ancora"), nasce Milan Football Hall.
Come direbbe il sempiterno Biscardi, ci sarebbe già tanta di quella "carne al fuoco" da riempire almeno una decina di post: la "novità" del mancato quarto posto e la conseguente impossibilità di partecipare alla prossima Champions League (a memoria, credo non accadesse dai tempi dell'ultimo anno di Zaccheroni al Milan), la mancata convocazione di uno come Filippo Inzaghi nella Nazionale di Donadoni (al quale, naturalmente, vanno comunque tutti i nostri migliori auguri per gli imminenti Europei), la cessione di Gilardino alla Fiorentina (chi ha notato nelle "buoniste" dichiarazioni da primo giorno in viola nei confronti della sua ex società, la punta "velenosa" con la quale ha tenuto a precisare che lui l'anno prossimo disputerà la Champions?) e, notizia giusto di ieri sera, l'ufficialità dell'acquisto di Zambrotta.
Ma sempre come direbbe Biscardi, meglio "non accavallarsi": Milan Football Hall guarda avanti, avendo cieca fiducia in una società che in venti anni di gestione ci ha resi "il club più titolato al mondo" e, ora come non mai, proprio per via di una altalenante stagione in campionato, sostenendo da veri tifosi incondizionatamente i ragazzi e Carletto nostro.
Ora come non mai, Forza Milan.
Have fun.

The Crow