Per chi come me oggi non ha più - ahimé - vent'anni, ma più o meno li aveva all'epoca, è un continuo (ri)emergere di ricordi, sensazioni, emozioni, raccontati sapientemente da Dotto. Ma a maggior ragione consiglio vivamente questo bellissimo libro anche a tutti i più giovani e, perché no, anche non milanisti, per meglio conoscere il "Messia di Fusignano", tutto quello che ne scaturì dal suo "credo" e i "cavalieri che hanno fatto l'impresa", dall'immaginifico trio olandese dei Van Basten, dei Gullit e dei Rijkaard, fino all'ossatura italiana costituita da gente del calibro di Baresi, Ancelotti, Maldini, Tassotti, Donadoni, i due Galli, Evani, Colombo e Virdis.
Due i momenti del libro che mi piace qui citare. Il primo è il racconto di quando lo stesso Giancarlo Dotto insieme al suo amico Carmelo Bene - il MITICO Carmelo Bene da sempre milanista - si ritrovarono inginocchiati all'unisono di fronte al televisore quando videro "una pallaccia che spiove da lontano. L'oggetto vola sghimbescio, tocca l'apice, rotola, precipita giù brutto come una meteora ingovernabile, cade e sviene, il pallone, muore fulminato, sul piede sinistro di Van Basten, l'olandese in pantofole, che danza poi sulle punte una piroetta alla Nureyev e inventa a seguire di spalle un assist cieco per qualcuno che poteva essere Donadoni".
Il secondo, invece, è quando nel novembre del 1989 un Milan "trasfigurato e plurisinistrato", con una prestazione che sa di impresa, riesce a superare negli ottavi di Coppa dei Campioni il Real Madrid. Ma è lo stesso Milan che in campionato perde a Cremona e ad Ascoli. Sacchi spiega: "E' difficile per noi pensare due cose insieme molto intensamente".
Vi ricorda qualcosa?
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